Lo dice sempre mio padre: “Arriverà il giorno in cui metterai tutto sul tavolo e mangerai ciò che hai seminato”.
Da adolescente percepivo questa frase quasi come una minaccia, oggi da donna ne vedo tutte le potenzialità.
Circa un mese fa mi sono trovata a prendere una decisione importante: proseguire verso ovest raggiungendo l’Argentina o virare verso est raggiungendo il Nepal?
Mi convinco di aver fatto una scelta, in realtà so bene che è stato il Nepal ad aver scelto me. Volevo fare un’esperienza di volontariato e mi sono trovata a rispondere ad una, apparentemente, semplice domanda: “Che cosa potresti dar loro?”
Avevo pochi secondi per rispondere e ricordo che fu peggio della domanda di fisica degli esami di maturità. L’ansia che provai fu la stessa del primo colloquio lavorativo e il primo pensiero fu: “non ho nulla”, ma non lo potevo dire. Il mio silenzio ha portato l’interlocutore a farmi una seconda domanda: “In cosa sei brava?”
E qui tutti i dubbi sono svaniti ed ho iniziato ad elencare le mie capacità.
Sono brava nel mio lavoro, l’architetto. Sono magnifica con i bambini, animatrice per 12 anni. Sono brava a cucinare, per passione e perché rubavo le ricette nei ristoranti in cui ho lavorato. Sono brava ad adattarmi e vivere con l’essenziale, me lo ha insegnato il Cammino di Santiago. Sono in grado di fare sacrifici e sopportare freddo, acqua e vento, l’ho imparato andando a lavorare al mercato alle 5 di mattina. Sono capace di vedere le cose da altre angolazioni e mettermi in altri “panni”, l’ho imparato al corso di teatro. Sono abilitata al primo soccorso, ero volontaria per la Misericordia del mio paese.
Ero ormai sicura di me perché, le infinite esperienze che ho fatto nella vita, mi hanno portata ad essere quella che sono e che porto per le strade del mondo.
Me lo ha sempre ripetuto mio padre, disegnatore meccanico per l’Alfa Romeo ed agricoltore per passione, che “non importa ciò che farai nella tua vita. Ricorda, però, che tutto quello che impari studiando e lavorando rimane un bagaglio eterno e potrebbe servirti in ogni momento della vita”. Ricordo di aver pensato che quel momento fosse finalmente arrivato. Dopo 24 ore mi comunicano che posso andare in Nepal, faccio il biglietto entusiasta ed incurante di ciò che avrei trovato. Ho già descritto le condizioni di vita di questo villaggio e parlato di questi splendidi ragazzi. Oggi voglio parlarvi del mio cambiamento avvenuto qui tra loro.
Ho salutato Claudio tre giorni fa e sono tornata al villaggio da sola con un po’ di timori. Temevo che i rapporti con i ragazzi sarebbero cambiati, che si sarebbero chiusi, che mi sarei trovata a dover riempire il vuoto lasciato da lui ed invece mi sorprendono ancora una volta. Avevano chiesto del mio arrivo al mattino presto e, qualche ora dopo, ci siamo ritrovati a casa per condividere una spaghettata e qualche partita a carte. La ragazza più grande prepara origami. Io che sono solita regalare scatoline con dentro il mio affetto, oggi la ricevo. È piccola, forse ha pensato che non avessi spazio nello zaino. Mi spiega che è per me e che vuole che la porti in giro per il mondo. Sui quattro lati campeggia la scritta “I LOVE YOU MARZIA”. Tutti i ragazzi non esitano a dirmi che mi vogliono bene, anche quelli più grandi che sono sempre stati schivi e quasi indifferenti. Mi sento veramente a casa, amata, li abbraccio, ridiamo, e dico loro quanto è immenso il mio affetto. Apro la scatolina e dico ad ognuno di loro di metterci un po’ del loro amore così potrò portarlo con me. Mi emoziono come poche volte nella vita. Tutti i miei timori svaniscono e dopo 18 giorni riesco a sentirmi parte di tutto questo.
Seguono due giorni di vacanza per loro, non hanno scuola e le ore da trascorrere insieme raddoppiano. Il primo giorno splende il sole e ci concediamo una gita, facciamo un breve trekking per raggiungere le cascate. Viaggiamo con la mia bandiera ed io percepisco che stanno viaggiando con me anche se sono luoghi a loro familiari.
Incrociamo turisti che mi guardano incuriositi, ma lasciamo presto la strada principale. Io mi affido ai miei piccoli fratellini che mi portano a destinazione facendo scorciatoie. Camminano mano nella mano, camminano sui condotti dell’acqua sospesi da terra, camminano tra campi e boschi per raggiungere le cascate ed una volta a destinazione si spogliano velocemente, si lanciano dagli scogli, sembrano volare, li vedo liberi e felici. Si fanno la doccia con acqua gelida che arriva direttamente dalla montagna e per scaldarsi, si abbracciano. Scattiamo qualche foto di gruppo.
Dopo tutto questo si torna a casa. Oggi è festa e decido che dobbiamo concederci qualcosa di diverso. Con 8 euro pago il pranzo per 12 persone compresa aranciata e dolce. Mi dicono che il giorno dopo vorrebbero lavorare per la realizzazione del campo da calcio ed accetto.
È sabato, corrisponde alla nostra domenica, puliscono l’ostello, fanno il bucato e dipingono le porte del campo. Qualche ora dopo siamo in 15 a pranzare tutti insieme. Non era mai successo. Mi rendo conto che cammino a piedi scalzi, che sono sporchi, che non mi preoccupo più di quanti piatti e forchette ci siano in casa, che ho iniziato a far mio il Nepali style.
Caro papà,
non c’è nessuna tavola apparecchiata, non ci sono sedie, né piatti di porcellana, posate o bicchieri. Qui si mangia seduti a terra, con le mani in piatti di metallo condivisi, e si beve dalla stessa bottiglia. Le loro usanze vogliono che io mangi da sola prima di loro, ma come potrei con tutti quegli occhi che mi fissano? Quindi decido di essere una di loro. Glielo spiego, sono perplessi, ma mangiamo tutti insieme. Le mie mani non sono del tutto pulite, ma l’amuchina l’ho lasciata nello zaino già dal secondo giorno, mangio dallo stesso piatto e seduta per terra. È la pasta più buona che io abbia mai mangiato. Il gusto non è dato dal condimento, ma dalla condivisione totale. Non c’è spreco ed oggi, quel piatto di metallo, lo lecco anche io.
Ripenso alla domanda che mi fu posta: “Cosa puoi dare loro?” Ripenso alle parole di mio padre: “Arriverà il giorno in cui metterai tutto sul tavolo e mangerai ciò che hai seminato”.
Mi accorgo che qui continuo ad imparare. Le mie competenze valgono poco in un posto in cui tempi e modalità sono differenti. Quindi il grande giorno non è ancora arrivato. Sto ancora evolvendo, sto ancora imparando, sto ancora testando me stessa.
Oggi ho mangiato nel piatto della vita… con le mani sporche e seduta per terra e sono felice come questi bambini. Loro non possiedono nulla e quindi non hanno nulla da perdere. Tutto quello che arriva si divide in parti uguali e si condisce con sorrisi.
Oggi ho compreso anche cosa voglia dire “leccarsi le dita” perché dopo il piatto è toccato anche a loro.
A presto da questa latitudine e longitudine di vita che sento un po’ più mia.